Gruppo di danza rinascimentale |
LE GRATIE D'AMORE |
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La dimora e la quadreria
di Ansaldo Pallavicino Danza e
musica: Elenco delle opere esposte in mostra Orari, biglietti, come arrivare
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GALLERIA NAZIONALE DI
PALAZZO SPINOLA
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Anton van Dyck (Anversa 1599 – Londra
1641) |
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L’età di Rubens
Una sezione della mostra L’età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi sarà presentata nelle sale della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, palazzo edificato da Francesco Grimaldi e scelto da Pieter Paul Rubens per inserirlo nel suo volume I Palazzi di Genova, dedicato alle "dimore bellissime e comodissime" da lui ammirate in città: proprio l’incisione del volume con la facciata del palazzo aprirà il percorso della sezione. In questo palazzo, di cui
divenne proprietario nel 1650, Ansaldo Pallavicino raccolse un’importante
quadreria, che comprendeva, oltre alle opere da lui stesso commissionate,
dipinti e sculture ereditate dal padre Agostino, Doge della Repubblica di
Genova nel 1637. Tale collezione rimasta nella sua dimora è oggi uno dei
nuclei principali del patrimonio della Galleria Nazionale di Palazzo
Spinola. Il prestigio di Ansaldo è evidente nella lettera che Salvatore
Castiglione scrisse, dopo la morte del nobile genovese, al Duca di
Mantova: Credo fatale la venuta di queste gioie [i dipinti di Gio.
Vincenzo Imperiale] a Mantova perché la morte di Ansaldo Pallavicino
prima, et del Principe di Molfetta Giovanni Filippo Spinola poi hanno
affatto privata questa città di chi si dilettava e poteva spendere in
pitture di questa qualità. Sarà riproposto il nucleo di opere acquisite da ciascuno dei due Pallavicino, sottolineando il rapporto con i loro pittori preferiti: di Agostino con Domenico Fiasella, cui commissionò tre ritratti che lo raffigurano e, tramite il quale, il figlio riuscì ad arricchire la sua preziosa collezione con vari bronzi di Ferdinando Tacca; di Ansaldo con Gio. Benedetto Castiglione detto il Grechetto, autore del quale sarà presentato il cospicuo nucleo di opere eseguite per il nobile genovese, alcune già note alla critica, come la Circe e il Viaggio di Abramo, altre invece presentate in questa occasione. Verrà raccolta la serie di ritratti che Agostino amava commissionare a ricordo di ogni tappa della sua carriera politica: il Ritratto di Agostino e Ansaldo Pallavicino realizzato da Domenico Fiasella in occasione dell’ambasciata presso Luigi XIII, il ritratto in cui era raffigurato da Anton van Dyck insieme al piccolo Ansaldo, di cui resta solo la parte con il bambino, e il Ritratto di Agostino Pallavicino in veste di doge di Anton van Dyck, che verrà rievocato attraverso una copia eseguita da Anton Maria Piola. Celebrano l’ascesa di Agostino alla più alta carica della Repubblica genovese anche la virtuosistica Allegoria per l’incoronazione di Agostino Pallavicino di Giovanni Tommaso Borgonio ed il volume Applausi della Liguria, che contiene un’incisione di Gilles Rousselet raffigurante Il doge Agostino Pallavicino tra Genova e la Corsica. Vera novità della mostra sarà però l’accostamento delle opere ad alcuni inediti documenti appartenenti all’archivio della famiglia Pallavicino, conservato presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, testimonianze che permettono di ricostruire minuziosamente i rapporti creatisi tra i mecenati e gli artisti, nonché la consistenza delle loro raccolte, ma anche la loro personalità e i loro più intimi affetti grazie ai precisi pagamenti registrati, alle volontà testamentarie, agli inventari. La sezione, allestita nelle sale del primo piano nobile del Palazzo, affrescate da Lazzaro Tavarone, offrirà dunque l’eccezionale opportunità di visitare la collezione di Agostino e Ansaldo nella loro dimora, divenuta museo, apprezzando la conservazione, vero unicum, dell’integrità del rapporto dimora-quadreria-documenti. Galleria Nazionale di
Palazzo Spinola E-mail: galspinola@libero.it
- Sito internet: www.palazzospinola.it Orario Presso il Museo servizio guardaroba |
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La dimora storica di Pellicceria Palazzo Spinola di Pellicceria conserva al suo interno importanti opere, per la maggior parte raccolti nel corso dei secoli dai diversi proprietari e che ancor oggi visitando le sale del Museo, ci trasmettono l’evoluzione degli usi e del gusto dei patrizi genovesi; infatti non bisogna dimenticare che Palazzo Spinola è prima di tutto una dimora storica, caratteristica sottolineata anche nell’atto di donazione con cui i marchesi Franco e Paolo Spinola nel 1958 donarono la secolare residenza di famiglia allo Stato italiano. La costruzione del Palazzo, voluto da Francesco Grimaldi, ebbe inizio intorno al 1580, sfruttando una ristretta area disponibile nel fitto tessuto urbano della zona: queste difficoltà d’inserimento, che sono tutt’oggi leggibili dall’irregolarità della pianta dell’edificio, non impedirono però la realizzazione di un palazzo perfettamente aggiornato al gusto architettonico genovese tardocinquecentesco. La ristrutturazione settecentesca delle facciate ha cancellato il loro aspetto originale, che oggi possiamo conoscere solo attraverso la descrizione fatta da Pieter Paul Rubens nel volume I Palazzi di Genova pubblicato nel 1622: la struttura originaria presentava delle decorazioni a fresco e, sulla facciata superiore, un loggiato aperto sovrastato da una terrazza, oggi scomparsi in seguito alla chiusura del loggiato e alla costruzione, sopra di esso, della Galleria degli Specchi. Il primo piano del Palazzo ha un’impostazione prettamente seicentesca, accentuata dalla presenza di arredi ed opere relative a quel periodo storico, raccolte in parte da Ansaldo Pallavicino (figlio del Doge Agostino) che acquisì la dimora dal cognato Tommaso Grimaldi nel 1650; questo fu l’unico passaggio per compravendita, in quanto successivamente furono esclusivamente le vicende ereditarie a destinare la proprietà dell’edificio, e dei beni in esso raccolti, determinando di conseguenza sia arricchimenti sia dispersioni. In una delle sale del primo piano è conservato anche l’archivio, le cui carte si sono rivelate fonte documentaria importantissima per la ricostruzione delle vicende storiche e private che videro protagoniste le famiglie patrizie che abitarono il palazzo. In particolare, il Libro di conti di Maddalena Doria è stato di fondamentale importanza per comprendere l’autentica rivoluzione voluta da questa nobildonna colta e volitiva che, a metà degli anni Trenta del XVIII secolo, volle trasformare la dimora di Pellicceria in una residenza adeguata al ruolo sociale della famiglia. Per fare ciò, tra il 1734 ed il 1736, concentrò la sua attenzione verso il riallestimento del secondo piano nobile e, seguendo la moda del tempo, creò una sorta di percorso circolare di rappresentanza formato da un salone principale, da una serie di tre salotti e dalla spettacolare Galleria degli Specchi. Nel salone decise di conservare le scene dipinte nella volta da Lazzaro Tavarone, per esaltare le imprese dei suoi committenti, i Grimaldi, ma grazie all’opera del quadraturista G. B. Natali riuscì ad ottenere un nuovo tessuto decorativo, che trasformò la precedente rigorosa impostazione secentesca, adeguandola al gusto settecentesco della quadreria. Relativamente a quest’ultima, Maddalena Doria scelse di porre in questa sala solo dipinti della scuola genovese del XVII secolo (fra cui opere di Domenico Piola, Bernardo Strozzi, Gregorio De Ferrari e Gio. Benedetto Castiglione detto il Grechetto), mentre nelle sale successive autori ed epoche sono stati liberamente accostati e mescolati, pur rispettando sempre l’impostazione distributiva prevista dalle quadrature a fresco. Unico ambiente del piano in cui non si trovano dipinti è la Galleria degli Specchi, riportata agli antichi splendori dopo un importante intervento di restauro effettuato nel 2002 che ha interessato non solo gli affreschi di Lorenzo De Ferrari (che ritraggono sulla volta Venere e Bacco con Amore e Il trionfo di Galatea sui sovrapporta), ma anche il tetto ed il pavimento, entrambi settecenteschi. Purtroppo ad una straordinaria conservazione degli ambienti ufficiali del primo e del secondo piano non corrispose quella delle stanze private riservate alla famiglia e alla servitù situate al terzo e al quarto piano, che andarono distrutte (e con esse anche la biblioteca) a causa di un incendio scoppiato in seguito al pesante bombardamento che colpì Genova nel 1941. L’unico spazio non di rappresentanza giunto integro fino ai giorni nostri – e conservato con quanto era stato messo in uso intorno alla metà dell’Ottocento – è la cucina, situata più in basso, fra il primo ed il secondo mezzanino. Gli ultimi due piani sono stati per questo ristrutturati e modernamente allestiti secondo le esigenze museografiche più attuali: dal 1993 sono aperti al pubblico e ospitano la Galleria Nazionale della Liguria, dove confluiscono le opere che lo Stato acquisisce per l’arricchimento del patrimonio artistico della regione, accanto alle quali sono presenti, per motivi conservativi, anche una raccolta di ceramiche ed alcune opere della donazione Spinola. Al terzo piano, deve sono esposte circa cinquanta opere fra cui La Giustizia di Giovanni Pisano, Il sacrificio di Isacco di Orazio Gentileschi ed Il ritratto equestre di Gio Carlo Doria di Pieter Paul Rubens, si è così creata la contrapposizione dell’intenso Ecce Homo di Antonello da Messina, del patrimonio Spinola, con una delle più recenti e importanti acquisizioni dello Stato, Il ritratto di Stefano Raggio di Joos van Cleve: la cultura italiana e la pittura fiamminga attraverso due opere fortemente legate al rapporto tra Genova e le Fiandre. Relazione che viene ripresa al quarto piano dove, accanto alla già citata raccolta di ceramiche, è conservata una raccolta tessile che testimonia l’importante produzione manifatturiera della Superba, e dei tessuti di altre produzioni europee che l’evoluzione del gusto, soprattutto settecentesco, impose nelle dimore patrizie genovesi.
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Giovedì 6 maggio 2004 Giovedì 3 giugno 2004 Palazzo Spinola di Pellicceria: la facciata rilevata da P.P. Rubens e i risultati del restauro Giovedì 10 giugno 2004 Tutte le visite-conferenza si tengono all’interno della sezione della mostra allestita presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola alle ore 17. I partecipanti possono
assistere alle visite-conferenza senza costi aggiuntivi rispetto al
biglietto di ingresso alla mostra. Domenica 16 maggio 2004 La manifestazione si svolge alle ore 16 nell’atrio del Palazzo. Ingresso libero.
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Elenco delle opere esposte in mostra PRIMA SALA La dimora di Ansaldo Pallavicino Quando nel 1622 Rubens pubblicò il volume I Palazzi di Genova, inserì fra le "dimore bellissime e comodissime" anche il palazzo di Francesco Grimaldi in piazza di Pellicceria. A quella data la dimora era passata in proprietà al figlio Tommaso il quale, a seguito di un grosso dissesto finanziario, fu costretto nel 1650 a cedere il palazzo al cognato Ansaldo Pallavicino, che si offrì di coprire il debito. Proprio in queste sale Ansaldo raccolse un'importante collezione, composta sia dalle opere da lui acquisite, sia da quelle ereditate dal padre Agostino, doge della Repubblica di Genova nel 1637. La dimora dei Pallavicino
si inserisce dunque a pieno titolo nel tema proposto dalla mostra L'Età
di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi in cui viene
presentata la ricostruzione delle quadrerie appartenute ai mecenati
genovesi riunendo le opere andate disperse fra le collezioni private e i
musei di tutto il mondo a seguito di vendite e passaggi ereditari. Questa
sezione distaccata costituisce tuttavia un caso a sé stante: le opere
esposte si trovano ancora oggi nello stesso palazzo in cui Ansaldo, che le
ereditò e le commissionò, volle collocarle. Non si tratta quindi di una
ricostruzione, ma piuttosto di un "riallestimento" in occasione
della mostra della collezione Pallavicino, eseguito sulla base di
fondamentali documenti, conservati nell'archivio del palazzo e presentati
per la prima volta insieme alle opere cui si riferiscono. Il rilievo inserito da Rubens nel volume da lui dedicato ai palazzi di Genova è preziosa testimonianza del primo assetto architettonico, con le due ali dell’edificio chiuse da un loggiato che Ansaldo Pallavicino, divenuto proprietario, trasformò nella sua "galleria" di quadri. Il ritrovamento di parte dei dipinti murali nelle facciate del cortile conferma l’originario decoro a fresco indicato dall’incisione, omogeneo a quello delle sale del primo piano nobile della dimora di Pellicceria. Domenico Fiasella, detto il Sarzana (Sarzana
1589 - Genova 1669) Il dipinto, insieme alle altre opere presenti in mostra raffiguranti Agostino, testimonia l’interesse del Pallavicino a ricordare le tappe della sua vita pubblica tramite la commissione di un proprio ritratto. Come per questo, anche per quello in veste dogale si rivolgerà a Domenico Fiasella, suo pittore di fiducia di cui la documentata attività di ritrattista è oggi nota solo attraverso questa tela. Libro di conti di Agostino Pallavicino,
(1618 – 1632) Il volume raccoglie la registrazione delle spese di Agostino Pallacivino - tra le quali quella per i sontuosi argenti di soggetto colombiano esposti nella sezione specifica di Palazzo Ducale - ma è anche scelto come luogo dove riportare il succedersi delle nascite dei figli. Tra queste quella di Ansaldo (18 maggio 1622), finora mai individuata, unico maschio ed erede di Agostino. Inventario dei beni del quondam Ansaldo
Pallavicino, (Post
1660) Tra i beni posseduti da Ansaldo Pallavicino al momento della sua morte (avvenuta a Bruxelles il 27 gennaio 1660) sono elencati anche tutti i quadri che facevano parte della sua ricca collezione, molti dei quali sono presenti in mostra. Accanto a quelli acquistati da lui stesso, come la serie di tele del Grechetto, compaiono alcuni dipinti ereditati dal padre, quali i tre quadri di soggetto tassesco, inseriti nel percorso della mostra. Libro di conti di Agostino Pallavicino,
(1632 – 1642) Tra le spese effettuate da Agostino Pallavicino tra il 1632 e il 1642, sono registrate quelle relative ad alcuni dipinti, in particolare i tre di soggetto tassesco eseguiti da Domenico Fiasella, il pittore prediletto dal nobile genovese, in collaborazione con Giovanni Battista Casoni. Il manoscritto riporta inoltre l’acquisto delle cornici dorate in legno di noce, costate cento lire ciascuna. Libro di conti di Ansaldo Pallavicino,
(1649 – 1653) Tra le spese effettuate da Ansaldo Pallavicino tra il 1649 e il 1653, è riportato anche l’acquisto di opere d’arte: sono infatti registrati tra i pagamenti del 1652 quello al pittore Grechetto per una serie di sei tele, un altro allo scultore Ferdinando Tacca per due bronzetti e un altro ancora a Giulio Cesare Procaccini per l’Ultima Cena esposta nel terzo salotto del secondo piano, un quadro che precedentemente appartenne a Gio. Carlo Doria. Copia da Anton van Dyck
(Anversa 1599 - Londra 1641) Il dipinto è la copia del ritratto di Anton van Dyck, conservato nel Palazzo di Pellicceria fino alla metà dell’Ottocento e oggi pervenuto al J. Paul Getty Museum di Los Angeles. La commissione al pittore fiammingo fu motivata dal conferimento ad Agostino nel 1621 del prestigioso incarico da parte della Repubblica di Genova. La tela faceva parte di un nucleo di copie da Van Dyck trovate nella bottega del maestro ligure Domenico Piola elencate alla morte del figlio Gio. Batta nel 1769. SECONDA SALA Gli artisti prediletti Le opere esposte in questa sala permettono di conoscere quelli che erano i gusti e gli orientamenti estetici di Agostino e Ansaldo. Il rapporto fra Agostino e il pittore genovese Domenico Fiasella fu costante: oltre a queste opere di carattere non ufficiale, il pittore fu scelto, partito Van Dyck da Genova, anche per dipingere diversi ritratti che documentassero le tappe della straordinaria carriera politica di Agostino, dall'ambasciata presso il re di Francia fino all'ascesa al Dogato. Il legame fra il Fiasella e la famiglia Pallavicino continuò anche con il figlio Ansaldo, che incaricò l'artista di acquistare a Firenze i bronzetti realizzati da Ferdinando Tacca. La preferenza di Ansaldo andava tuttavia al pittore genovese Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, le cui opere costituiscono una parte considerevole della sua collezione: alcune, come Il viaggio di Abramo, furono riutilizzate dalla nipote Maddalena per decorare le sale del secondo piano dove tuttora si trovano. La ricchezza della collezione di Ansaldo e la sua particolare sensibilità vennero esaltate in una lettera scritta dal pittore Salvatore Castiglione al duca di Mantova nella quale lo informava che in seguito alla scomparsa di Ansaldo e di Gio. Filippo Spinola, Genova era stata privata "di chi si dilettava e poteva spendere in pitture di questa qualità". Ferdinando Tacca (Firenze 1619 – 1689) Fa parte di una serie di sei bronzetti acquistati da Ansaldo Pallavicino nei primi anni Cinquanta del Seicento presso la bottega fiorentina di Ferdinando Tacca, artista che rielaborò i raffinati prototipi creati nel secolo precedente dal Giambologna, al quale non a caso le opere erano in passato tradizionalmente attribuite. Ferdinando Tacca (Firenze
1619 – 1689) I pagamenti individuati nel Libro di conti di Ansaldo Pallavicino relativo agli anni 1652–1658, permettono di collocare con precisione l’ingresso della serie di bronzetti nella dimora di Pellicceria. Questo acquisto rivela come il gusto del nobile genovese, pur mostrando un particolare interesse per gli artisti locali, tra i quali primeggiano Fiasella e Grechetto, non era insensibile ad influenze provenienti da altri ambiti culturali. Ferdinando Tacca (Firenze 1619 – 1689) Le sei sculture furono acquistate a Firenze per conto di Ansaldo Pallavicino dal pittore Domenico Fiasella, con il quale già il padre Agostino ebbe frequenti legami. Nel Libro di conti di Ansaldo è attestata una spesa del 1655 per la doratura dei piedistalli, quasi sicuramente in legno e sostituite in seguito da massicce basi in marmo. Ferdinando Tacca (Firenze 1619 – 1689) All’inizio del XX secolo il Ratto delle Sabine e un Mercurio furono trasferiti dagli Spinola, allora proprietari del palazzo di Pellicceria, in una residenza secondaria della famiglia, dove sono tuttora conservati. La serie completa dei sei bronzetti del Tacca venne menzionata nell’inventario dei beni di Ansaldo Pallavicino, ma di uno già pochi anni dopo se ne persero le tracce. Domenico Fiasella detto il
Sarzana (Sarzana 1589 - Genova 1669) È legato alle scelte
artistiche di Agostino l’acquisto, attestato dal suo libro di spesa, di
tre tele da Domenico Fiasella che l’inventario di Ansaldo cita come
"quadri grandi dell’historia del Tasso", eseguiti dall’artista
con il suo collaboratore Giovanni Battista Casoni. La presenza di questo soggetto all’interno della serie dedicata alla Gerusalemme liberata va forse spiegato con le forti analogie iconografiche tra questo tema mitologico e l’episodio tassesco in cui Armida si innamora di Rinaldo addormentato. L’attribuzione a Giovanni Battista Casoni, il più abile e fedele collaboratore di Domenico Fiasella, è motivata, oltre che da ragioni stilistiche, anche dalla documentata vicinanza al maestro di Sarzana, probabile ideatore dei tre dipinti. Giovanni Benedetto
Castiglione detto il Grechetto (Genova 1610 - Mantova 1664) Questa Circe - di cui l’autore realizzò numerose altre versioni, una delle quali è esposta nel primo salotto del secondo piano del palazzo - proviene dalla stessa residenza degli Spinola nella quale è conservato il bronzetto con il Ratto delle Sabine. Il dipinto - che reca la firma dell’autore e la data di esecuzione (1653) - permette una più ampia ricomposizione del ricco nucleo di opere del Grechetto, certo pittore prediletto da Ansando che acquistò numerose sue tele. Giovanni Benedetto
Castiglione detto il Grechetto (Genova 1610 - Mantova 1664) Il dipinto è probabilmente da riferire al felice rapporto tra Ansaldo Pallavicino e il pittore Grechetto all’inizio degli anni Cinquanta del Seicento. La tela, che non ha mai lasciato il Palazzo, per le dimensioni ridotte potrebbe essere identificata con uno dei ventisei quadretti che il nobile genovese destinò alla galleria fatta costruire intorno al 1652. Giovanni Benedetto
Castiglione detto il Grechetto (Genova 1610 - Mantova 1664) I due Paesaggi fanno probabilmente parte del gruppo di opere acquistate da Ansaldo Pallavicino il 28 aprile 1652, come è ricordato nel suo Libro di conti, anch’esso inserito nel percorso espositivo, tra le quali peraltro compare anche la Circe di Palazzo Spinola ora collocata nel primo salotto del secondo piano nobile. Di questi due dipinti è rimasta anche una citazione nell’inventario post mortem del figlio del nobile genovese, Nicolò, redatto nel 1709. Giovanni Battista Casoni, (Lerici, La
Spezia 1610 - Genova 1686) Insieme agli altri due dipinti con soggetti tasseschi, questa tela fu acquistata nel 1989 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, per arricchire la quadreria dei Pallavicino che la Galleria conserva, in ragione della documentata appartenenza della serie alla collezione di Agostino, padre di Ansaldo, il proprietario del palazzo dal 1650. TERZA SALA Committenze artistiche e impegno pubblico Una stretta sintonia di interessi ed impegni lega Ansaldo al padre Agostino che per due volte volle il bambino accanto a sé nei propri ritratti. Divenuto adulto, Ansaldo fu più pronto a seguire le orme del padre proprio nella committenza di opere d’arte, piuttosto che nella carriera politica in cui Agostino giunse alla massima carica divenendo doge nel 1637. Padre e figlio, in particolare, condivisero l’impegno per il decoro della chiesa di San Siro che divenne il luogo di culto della famiglia dove entrambi vollero essere sepolti. Le volontà testamentarie, oltre a dare tale indicazione, lasciano trasparire le diverse personalità di due personaggi che emersero e lasciarono il proprio segno nella vita pubblica e culturale della città. Testamento di Agostino Pallavicino,
(1638) Testamento di Ansaldo Pallavicino,
(1659) Ansaldo, l’anno prima della sua morte sopraggiunta nel 1660, stese una seconda versione del testamento in seguito alla nascita del figlio, Nicolò. In esso lasciò tutte le disposizioni relative alla sua sepoltura, che volle nella chiesa genovese di San Siro, dove era sepolto anche il padre, e per la quale aveva già commissionato importanti lavori di decorazione. Testamento di Teresa Lomellino,
(1677) Consorte di Ansaldo Pallavicino, Teresa Lomellino stese il suo testamento nel 1677 e dispose di venire sepolta, come il marito e il suocero Agostino, nel monumento funebre della chiesa di San Siro, contribuendo a perpetuare così il forte legame tra l’edificio sacro genovese e i Pallavicino. Giovanni Tommaso Borgonio (Perinaldo 1620
– Torino 1691) Nell’incisione corredata da una lunga dedica in cui Borgonio ha voluto omaggiare Agostino Pallavicino, l’autore non ha mancato di sottolineare la corona, nuovo attributo dogale, tramite le due figure poste ai lati del personaggio, che rappresentano la personificazione della Corsica – riconoscibile dalla corsesca che impugna, nonché dal cane corso seduto ai suoi piedi – e quella di Genova come Giano bifronte. Applausi della Liguria nella reale
incoronatione…di Agostino Pallavicino L’incisione che raffigura
Agostino in veste di doge è opera di Gilles Rousselet, al quale si devono
sia l’invenzione compositiva, poi ripresa da Borgonio, sia l’effettiva
incisione. Fra le uscite che il nobile registra come spese sostenute in
occasione dell’elezione a doge, quella per la stampa di una miscellanea
potrebbe riferirsi al contributo per questa edizione. L’onore di essere eletti al dogato comportava il dover far fronte a una serie di spese che Agostino, doge nel 1637, registra con meticolosità: fra queste il pagamento a Domenico Fiasella per il proprio ritratto come doge e la spesa per la pubblicazione di una miscellanea che con ogni probabilità è quella stampata da Giuseppe Pavoni ed esposta in questa mostra. Copia da Domenico Fiasella detto il Sarzana
(Sarzana 1589 - Genova 1669) La copia del ritratto dipinto da Fiasella costituisce un’ulteriore testimonianza della carriera politica di Agostino, culminata con l’ascesa al dogato nel 1637. Oltre ad essere il primo Pallavicino ad accedere all’ambita carica, fu il primo doge a potersi fregiare di corona, scettro ed ermellino, cioè delle insegne regali che la massima figura politica poteva indossare in quanto vicario della Madonna, regina di Genova, risolvendo così problemi di cerimoniale e prestigio. Giovanni Battista Carlone (Genova 1603 –
1683/1684) L’ampia documentazione relativa alla commissione di Ansaldo Pallavicino per la decorazione di San Siro permette di seguirne ogni tappa: la concessione del permesso ad eseguire i lavori nel 1657, il contratto con il quadraturista Paolo Brozzi del 7 febbraio 1658, la commissione a Giovanni Battista Carlone, datata undici giorni dopo, e soprattutto la dichiarazione del 15 novembre 1660 da parte di quest’ultimo di aver ricevuto dagli eredi di Ansaldo, già defunto, la somma di 7.500 lire per gli affreschi e i tre quadri esposti in mostra. Giovanni Battista Carlone (Genova 1603 –
1683/1684) Nato in una famiglia di artisti di origine lombarda, Carlone ereditò dal fratello Giovanni una bottega affermata, alla quale si rivolgeva molta della committenza genovese. Il pittore contribuì al rinnovamento del linguaggio figurativo ligure, soprattutto in seguito alla collaborazione con Pietro da Cortona, conosciuto a Roma negli anni Quaranta. Giovanni Battista Carlone (Genova 1603 –
1683/1684) Il ciclo pittorico dedicato alla Vita di san Pietro commissionato da Ansaldo Pallavicino si inserisce nel cantiere artistico già avviato da Agostino a San Siro, che volle essere sepolto nella chiesa, ordinò anche l’esecuzione di una sua statua in veste dogale da porre nel nicchione centrale della controfacciata, in seguito rimossa a carico del figlio perché non ritenuta consona alla sacralità del luogo e sostituita da una raffigurante San Pietro. Contratto tra Ansaldo
Pallavicino e Gio. Batta Carlone per la chiesa di San Siro,
(1658) Anton van Dyck (Anversa 1599 – Londra
1641)
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